11. Serenità. Diario da una vigna

17 Settembre 2021

Martedì 14 settembre 2021

Lamin alza la carriola e la spinge tra i filari a tutta velocità, come fosse in un circuito di go kart. Sta portando le casse di uva bianca al furgone, laggiù all’entrata della vigna, dove Christian le impila in file ordinate prima di trasferirle nella cantina della casa vinicola Plozza, a Tirano.
Questa mattina è iniziata la vendemmia di chardonnay, il vitigno di bacca bianca coltivato qui a Bianzone come in tutte le aree viticole del mondo e che, viste le piccole quantità, richiederà un paio di giorni di lavoro, non di più. Un’uva che di solito in Valtellina è pronta da raccogliere tre, quattro settimane prima rispetto all’uva rossa, ossia il Nebbiolo.
Ad aiutare i ragazzi e gli uomini della squadra operai a tagliare i grappoli dalle piante, a selezionarli e adagiarli nelle cassette, oggi ci sono la moglie di Bayo e la figlia di Christian, quasi a far rivivere un’antica tradizione. Quella che nei decenni scorsi, nel periodo della vendemmia, vedeva aggiungersi agli agricoltori i parenti di ogni età per dare una mano e festeggiare il raccolto in famiglia.

Cassette di uva appena raccolta

Appena arrivato in vigna incontro il titolare di Plozza, Andrea Zanolari, che non avevo ancora conosciuto. È qui per vedere da vicino l’inizio della vendemmia e in particolare lo stato dell’uva, dunque per provare a capire come sarà il vino bianco la cui produzione comincerà tra pochi giorni.
Luca, il giovane enologo, sta descrivendo le particolarità del frutto raccolto rispetto a quello dei due anni precedenti e, a quanto pare, la qualità è migliore. Poi gli parla delle analisi fatte, di esposizione al sole dei vigneti, di grado di acidità e dolcezza della polpa e di quale sarà il risultato in bottiglia.
Mentre loro si confrontano, io mi sposto con Lamin in una zona d’ombra del vigneto, mi siedo su un muretto a secco e apro il taccuino. Sono mesi che devo intervistarlo, ma per un motivo o per l’altro ho rimandato e lui, con una timidezza forse solo di facciata, mi è sempre sembrato rinfrancato dall’evitare le mie domande.
La sua storia è simile, se non identica, a quella di decine di migliaia di ragazzi, uomini e donne che sono fuggiti dall’Africa per cercare fortuna in Italia, ma non per questo meno drammatica.
Lamin è partito dal Gambia a 24 anni, nel 2014, lasciandosi alle spalle genitori, fratelli e sorelle, negli anni in cui il Paese – il più piccolo dell’Africa, con 2 milioni e 300 mila abitanti in un territorio che sorge all’interno del Senegal – era sotto un regime autoritario con forti restrizioni ai diritti civili e politici. Un regime poi caduto nel 2016 con l’elezione inattesa del presidente Adama Barrow e il conseguente riconoscimento dei diritti fondamentali alla popolazione.
Ma nel frattempo Lamin, un ragazzo robusto e sorridente, era già in Valtellina, a Tirano e poi a Sondrio accolto dall’associazione Il Gabbiano, dopo un lungo viaggio “Pericoloso un po’ sì e un po’ no” come mi dice muovendo la mano, attraverso Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger e Libia, prima di salire su uno dei barconi diretti a Lampedusa che spesso vediamo in tv e che ormai non ci fanno impressione, assuefatti come siamo dal considerare certi drammi la normalità della nostra epoca.

Lamin ha 29 anni e viene dal Gambia

Per tre anni Lamin ha girovagato in Valtellina in attesa dei documenti che certificassero il suo status di rifugiato politico e, soprattutto, sperando in un contratto di lavoro che gli desse qualcosa da fare e un’entrata economica.
“Quando aspetti qualcosa che non arriva, rischi di perdere la speranza” mi confida con un velo di amarezza. “Avevo il permesso di soggiorno provvisorio, ma passavo le ore a camminare e mangiare e pensare, sentendomi inutile. Però ho tenuto duro, come mi dicevano i miei famigliari al telefono, e alla fine ci sono riuscito.”
L’occasione è arrivata anche grazie a Bayo, conosciuto per strada a Tirano, che l’ha aiutato a trovare lavoro nei meleti e poi nei vigneti, qui dove è ancora oggi.
“Da quel giorno ho potuto mandare denaro a casa. Sono venuto fin qui apposta” dice sottolineando il fatto che è proprio questa la sua missione di migrante.
Gli chiedo se per il futuro ha in mente di lasciare la Valtellina e il lavoro in vigna, magari per andare in una grande città o, chissà, per tornare a casa, ma la sua risposta è perentoria, dettata in parte dalla questione economica che per le persone come lui, nate e vissute in povertà, guida ogni scelta. E in fondo non potrebbe essere altrimenti, visto che dal suo stipendio dipende il sostentamento dell’intera famiglia rimasta in Gambia. Almeno finché gli darà una mano il fratello, che sta affrontando il viaggio verso l’Europa ed ora è fermo in Algeria in attesa di raccogliere i soldi per fare ancora un po’ di strada.
“No, non penso a tornare, voglio restare…” specifica sempre con decisione. “Non voglio neanche andare in città, preferisco qui, è più tranquillo. E a dicembre, se avrò tutti i documenti, arriva mia moglie. Così possiamo stare insieme e anche per i soldi andrà meglio.”

La selezione e il taglio del grappolo

Quando finiamo di chiacchierare lo ringrazio, lui riprende la carriola e si lamenta del suo italiano, quasi si scusa, e mi chiede se sono riuscito a capire ciò che ha detto.
Lo rassicuro e sul suo viso si forma un ghigno soddisfatto, come se l’aver raccontato a me, un estraneo, fatti della sua vita così intimi e dolorosi, sia servito a dargli un po’ di serenità in più rispetto a quella che, in ogni caso, mi sembra abbia già.
Una serenità che oggi si respira in tutto il vigneto e in tutti gli operai. Sarà per il primo giorno di vendemmia, una sorta di allenamento leggero in vista di quella che fra qualche settimana sarà la vendemmia vera, lunga e faticosa; sarà per il caldo piacevole e il cielo limpido che rende questo luogo un piccolo paradiso; sarà per la pausa del pomeriggio resa ancora più piacevole dai pasticcini e dalle bibite portate dall’operaio pakistano, che ieri ha festeggiato il compleanno e che ha voluto che fossi presente; oppure sarà per i tre, quattro grappoli di uva bianca che i ragazzi mi regalano come ricordo, da far assaggiare ai bambini; sarà per tutto questo o per altre cose ancora, fatto sta che pure io, quando saluto e guido verso casa, sono sereno.

CONTINUA…

(Le fotografie che accompagnano il post sono state scattate da me nei vigneti di Bianzone)

I grappoli vanno trattati con delicatezza

Leggi anche i post precedenti:
10 Colori. Diario da una vigna
9 Cimatura. Diario di una vigna
8 Cambiamenti. Diario da una vigna
7 Legare. Diario da una vigna
6 Bagnare. Diario da una vigna
5 Cantina. Diario da una vigna
4 Attesa. Diario da una vigna
3 Lontananza. Diario da una vigna
2 Sole. Diario da una vigna
1 Rinascita. Diario da una vigna
Diario da una vigna