12. Sforzato. Diario da una vigna

12 Ottobre 2021

Giovedì 7 ottobre 2021

“Sono tre anni e mezzo che non torno a casa. Di solito ci andavo ogni due anni, ma la pandemia mi ha costretto a rimandare. Non vedo l’ora di rivedere mia moglie, i miei genitori e i miei fratelli.”
A parlare in un italiano stentato è Iqbal, un uomo magro e timido di trentaquattro anni che tutti in vigna chiamano Mia. È in Italia dal 2010, arrivato da Gujrat, una città di pianura di oltre 700mila abitanti nel nord-est del Pakistan, a ridosso del confine con l’India.
Mia ha sempre lavorato nell’allevamento e nell’agricoltura, prima in patria a occuparsi delle mucche e poi a Mantova a raccogliere angurie; fino all’arrivo in Valtellina, a Tirano, dove ha raggiunto alcuni connazionali e trovato impiego nei vigneti di case vinicole della zona. È nella squadra operai di Plozza dal 2017 ma, dato che sembra non ricordare le date, chiede conferma a Kevin, al lavoro nello stesso filare.
“Resterò in Italia ancora tanto tempo” aggiunge Mia. “Sono in regola e ho bisogno dei soldi che guadagno qui. Tutta la mia famiglia ne ha bisogno. Forse quando andrò in pensione tornerò in Pakistan. Ma per adesso non ci penso. Ora penso solo a far arrivare mia moglie a Tirano. Ancora qualche mese e poi, se tutti i documenti saranno pronti, potrà partire e stare con me.”
Mia sospira e si lascia andare a un mezzo sorriso, aggiunge ancora qualcosa a proposito della moglie, dicendo che è molto giovane, e ricomincia a tagliare i grappoli di uva rossa dai tralci, dopo aver selezionato i migliori con lo sguardo e con il tatto.
Sono i grappoli di Nebbiolo più pregiati e belli, quelli cresciuti meglio durante l’anno, da trattare con cura: servono per lo Sforzato di Valtellina, il vino passito secco che si produce soltanto in provincia di Sondrio.

Iqbal, soprannominato Mia, viene dal Pakistan

La vendemmia della casa vinicola Plozza è iniziata lunedì, ma è durata il tempo di una mattina: la pioggia ha costretto a rimanere a casa. Solo oggi è ripresa a pieno regime e gli operai nel vigneto sono una ventina. Oltre ai dipendenti fissi ci sono gli uomini e le donne assunti per l’occasione e che, mi dicono, non è stato facile trovare.
“Colpa della poca voglia di faticare e del reddito di cittadinanza” si lamenta qualcuno. “E colpa del fatto che i ragazzi preferiscono fare altro, almeno quando ne hanno voglia…”
Così, è stato Bayo a reperire braccia forti per le tre, quattro settimane di vendemmia e infatti quasi tutti i nuovi arrivati sono africani, a parte due giovani del posto e la figlia di Christian.
In ogni caso, per i giorni a venire le mansioni sono ben definite: alcuni operai tagliano i grappoli migliori, eliminando eventuali acini marci o rotti, e li adagiano in cassette di plastica facendo attenzione a non schiacciarli; altri operai, invece, caricano le cassette di uva su una sorta di zaino con la struttura in ferro, attraversano il vigneto e le scaricano nelle vicinanze del furgone, dove c’è Christian a sistemarle sul cassone e a fissarle con delle corde una all’altra.
Quando è il momento, accetto l’invito e salgo sul furgone, e con Christian ci dirigiamo a Tirano, in una delle sedi di Plozza.
Lì, ad aspettarci c’è Luca che, oltre a effettuare un ulteriore controllo visivo sull’uva conferita, si mette alla guida del muletto e trasferisce i bancali di uva, uno alla volta, sulla grande bilancia all’esterno del magazzino. Il risultato è un dato importante, poiché al termine dell’appassimento la stessa uva verrà rimessa sulla bilancia per capire la quantità effettiva di peso persa.

Il furgone è pronto per portare l’uva in cantina

È in questo modo che inizia la lunga procedura per produrre lo Sforzato, un vino caratteristico che nasce dalla tradizione locale di “sforzare” le uve, appunto, in modo da dare vita a una base di maggiore struttura e potenza. Un vino che, tra l’altro, è stato commercializzato per la prima volta nel lontano 1946 proprio da Plozza, che ha una storia profonda nella produzione di vini della Valtellina.
Lo Sfursat, come viene chiamato da queste parti, richiede impegno e attenzione a partire dalla scelta dei grappoli di Nebbiolo, oltre alle capacità di appassimento prima e di attività in cantina poi delle persone che se ne occupano, esperti anche dell’arte di saper aspettare: almeno due mesi per la disidratazione naturale e parziale delle uve; circa due anni prima di poter spedire le bottiglie alle enoteche.
Ma un vino che, come tutti gli altri nati in Valtellina durante i secoli, prima di tutto deve la sua esistenza al lavoro dei tanti uomini – spesso invisibili agli occhi di chi transita dal fondovalle o di chi decanta le qualità del liquido rosso nel bicchiere – che sono in vigna a prendersi cura della vite, seguendo giorno dopo giorno il ciclo naturale di crescita della pianta.

CONTINUA…

(Le fotografie che accompagnano il post sono state scattate nei vigneti di Tirano, nei dintorni delle frazioni di Roncaiola e Baruffini)

Operai impegnati nella vendemmia a Tirano

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