4. Vita da ribelle. Diario dalle Valli del Bitto

1 Novembre 2021

Mercoledì 1 settembre 2021, mattina

Ho deciso di scendere a valle un giorno in anticipo rispetto ai programmi: ho già visto le cose che volevo vedere e ora non voglio essere d’intralcio a gironzolare senza fare niente.
Allora, dopo essermi preparato un caffè e aver sistemato lo zaino, vado al pascolo a salutare Erica, Manu e Martina, che mi hanno accolto con una semplicità più genuina di tante smancerie che spesso mi capita di cogliere in persone che conosco meglio di loro. E come si addice nei luoghi di montagna, non ci perdiamo in chiacchiere e ci salutiamo e ringraziamo a vicenda, da parte mia davvero soddisfatto di aver vissuto questi due giorni probabilmente irripetibili.

Fascere appese all’esterno dell’Alpe Piazza

In discesa cammino di buon passo, mi guardo poco in giro, rifletto sulle cose da scrivere e su quelle da fare nelle prossime settimane, mi innervosisco più del dovuto a pensare a situazioni di lavoro che non mi soddisfano. E forse è proprio a causa del nervosismo che, poco dopo l’Alpe Tagliata, salto la deviazione da imboccare. Me ne accorgo solo dopo mezz’ora, quando è tardi.
Faccio per prendere la mappa dallo zaino, inveendo contro me stesso per non averla controllata prima di partire o durante il tragitto, ma oltre il tornante della mulattiera incontro due anziani che mi domandano, pieni di allegria, se ne ho trovati.
Non capisco a cosa si riferiscono. Forse ai funghi?
“Di selvatici, ne hai visti?” mi chiede allora uno dei due.
“Ah, no…” rispondo ancora confuso. “Neanche uno.”
“Mi sa che stamattina non ce n’è…” dice quello più anziano rivolgendosi all’amico.
Chiedo informazioni su dove arriverò se continuo a scendere, oppure se conoscono un sentiero che, tagliando nel bosco, mi riporti alla destinazione originaria.
“Sì, una volta c’era un sentiero, vedi?” dice sempre l’uomo più anziano, indicando una traccia. “Ma poi finisce. Non si riesce più ad attraversare il torrente e a risalire a valle. È molto ripido, non si passa.”
L’altro uomo spiega che arriverò più giù rispetto a Rasura e poi mi racconta che si trovano da queste parti perché stanno allenando i cani per la caccia: li hanno lasciati liberi di correre e annusare.
Mi rimetto in cammino e poco dopo telefono a Carlo, il giovane braccio destro del fondatore dello Storico Ribelle che lavora al Centro del Bitto di Gerola, perché trascorrerò la giornata con lui. Non vorrei rovinargli i piani, ma mi tranquillizza in fretta: è di strada, sta salendo in val Gerola da Morbegno e per prendermi farà solo una piccola deviazione verso la frazione di Piantina.

Brenta per trasportare il latte

Dopo venti minuti sono seduto sul sedile del pick-up di Carlo, già conquistato dalla sua disponibilità e simpatia innata.
Arriviamo a Gerola Alta in perfetto orario e abbiamo il tempo di andare a bere un caffè; oltre a noi c’è Maurino, anche lui un dipendente del Centro del Bitto.
Il programma della mattinata è, almeno per me, curioso quanto stimolante e non vedo l’ora di iniziare: dobbiamo andare a ritirare un bel po’ di forme anche se, quando stiamo partendo, il caricatore dell’Alpe Trona Vaga telefona a Carlo avvisandolo che è quasi arrivato alla casera di Gerola con un primo carico.
“Almeno ci portiamo avanti” lo sento dire in vivavoce.
Scendiamo dal pick-up, entriamo nella sala degustazione del Centro del Bitto e ci dirigiamo al piano interrato, dove ci sono la cantina e l’ufficio e dove, oltre che dal fresco, l’aria è pervasa dal profumo di formaggio che stagiona anno dopo anno.
Quando arriva l’allevatore ci diamo subito da fare e lo aiutiamo a scaricare le forme di Storico Ribelle. Sono almeno una trentina, tutte di peso diverso, alcune morbide al tatto altre più dure dopo aver passato i primi due, tre mesi a stagionare in alpe.
Mentre vado avanti e indietro dalla jeep alla cantina portando una o due forme alla volta in base alla loro grandezza, le dita delle mie mani si impregnano dell’odore di latte, croste, casera ed erba di montagna caratteristico del formaggio fatto in alpeggio, e il mio udito è invaso dal fragore originato da una cascata del fiume Bitto che scorre vicinissimo a noi.
Inoltre, il mio sguardo è ammirato quando incrocia quello serio dell’allevatore, orgoglioso del lavoro svolto in un’altra estate della sua vita passata in quota, e che per un attimo sembra non fidarsi di uno sconosciuto come me che maneggia il suo formaggio.
In realtà l’uomo si preoccupa soprattutto che sulla bilancia non ci siano troppe forme una sopra l’altra, perché quelle più fresche potrebbero non reggere il peso e aprirsi; intanto, controlla la mano di Carlo segnare su un foglio il numero delle forme conferite e il loro peso totale.

Forme di Storico appena arrivate a Gerola

Finita la prima parte del lavoro risaliamo sul pick-up e, questa volta per davvero, partiamo in direzione dell’Alpe Trona Vaga, mille metri più su rispetto a Gerola, passando dalle frazioni di Foppa e Laveggiolo, imboccando infine una mulattiera che sulla mappa è segnata come tratto della Gran Via delle Orobie, il lungo sentiero che attraversa il versante orobico della Valtellina da Delebio ad Aprica.
Arriviamo a destinazione dopo mezz’ora e, mentre parcheggia, Carlo indica i luoghi attorno a noi: la bocchetta di Trona alla nostra destra, con il rifugio Falc e il pizzo Varrone poco distanti; la diga e il lago di Trona davanti a noi, ora vuoto, dato che sono in corso lavori di manutenzione tanto che dalla nostra posizione possiamo distinguere le baracche dove, da qualche mese, vivono gli operai; e, infine, il pizzo di Trona, la bocchetta d’Inferno e, poco oltre, il più famoso pizzo dei Tre Signori.
I minuti successivi sono un via vai dalla cantina al pick-up e alla jeep, per caricare quasi tutte le forme dell’alpe. A tenerci d’occhio ci sono le capre di razza orobica che pascolano poco lontano, tristi e dimesse come se sapessero che quella che stanno brucando è l’ultima erba di stagione.
Quando finiamo, il caricatore dell’Alpe Trona Vaga ci parla della pioggia intensa e sciagurata di fine giugno, che ha rovinato il pascolo e lo ha obbligato a spostare le vacche prima del dovuto da una determinata porzione di terreno, dove di solito pascolavano un paio di settimane.
“Dopo quella pioggia sono rimaste agitate per l’intera estate” afferma amareggiato. “Ne ha risentito anche il latte, e di conseguenza il formaggio.”

Carico in partenza dall’alpeggio

Affrontiamo il viaggio di ritorno con più lentezza rispetto all’andata, perché la quarantina di forme nel bagagliaio deve essere preservata dagli sballottamenti causati dalle buche della strada sterrata.
Durante la discesa, Carlo mi racconta del suo lavoro al Centro del Bitto, del fatto che si occuperà in prima persona del palazzo Folcher di Morbegno, di prossima apertura, un’ulteriore sede dello Storico Ribelle, e poi della filosofia e del carattere di Paolo, l’anima storica del Consorzio.
Infine, una volta giunti in cantina e terminato di sistemare, davanti ai nostri occhi si apre lo spettacolo di un centinaio di forme di formaggio che presto, dopo la selezione, diventerà Storico Ribelle.
Il caricatore dell’alpe le guarda con le mani sui fianchi, il petto all’infuori, gli occhi lucidi. Conferma a Carlo che probabilmente, dopo tantissimi anni, la prossima estate non prenderà più in affitto l’alpe e, vista la sua età, nemmeno ne cercherà un’altra.
“Aumentano il prezzo perché chi appalta pretende che ci siano più mucche possibile in alpeggio” dice sconsolato, lisciandosi i baffi. “Ma io non me le posso permettere e, a dir la verità, nemmeno mi interessa avere più mucche.”
È il solito discorso: molti enti pubblici preferiscono privilegiare la quantità invece che la qualità, seguendo la sola logica del profitto. Ma, così facendo, contribuiscono a far morire, o quantomeno ferire gravemente, cibi e tradizioni dall’inestimabile valore.

Panorama dall’Alpe Trona Vaga

È tarda mattina e, quando io e Carlo restiamo soli, lo aiuto nel lavoro d’ufficio. Il che significa pesare una a una le forme dell’Alpe Trona Vaga: Carlo posa la forma sulla bilancia, mi dice la data di produzione e il peso e poi la sposta su un carrello; io scrivo i dati che mi ha comunicato in un apposito file nel computer del Centro del Bitto e, quando sul carrello ci sono abbastanza forme, insieme lo spingiamo verso la cantina e adagiamo con cura ogni forma sulle mensole in legno, a una precisa distanza una dall’altra, con il nome del produttore in vista.
So per certo che per me, questa che sto vivendo da lunedì e che finirà in serata, quando tornerò a Livigno, è un’esperienza indimenticabile. Di conseguenza mi sento bene, realizzato, sereno. Mi sento parte di un progetto unico, di qualcosa che sta già lasciando un segno indelebile nella storia della Valtellina. Mi sento nel giusto. Mi sento di appartenere a un futuro migliore, più sano, più equo, più rispettoso delle persone e delle tradizioni. Mi sento un ribelle. Mi sento di affermare con certezza che, per proteggere l’ambiente, il clima, le risorse della terra e tornare davvero a un rivalutato senso del limite e di comunità, è urgente avere più produzioni come lo Storico e meno produzioni industriali, piccole o grandi che siano.
Così, dopo pranzo, Carlo appoggia sul tavolo il meritato compenso che mi spetta per il lavoro che ho svolto stamattina; un compenso tutto per me: un tagliere con assaggi di Storico Ribelle di vari anni di stagionatura, per una degustazione verticale che mi lascia senza fiato e con il sorriso stampato sul viso.
Davanti agli occhi e poi nel palato ho qualcosa di raro, di straordinario, di incomparabile. Qualcosa che si trova solo in questa valle e da nessun’altra parte. Un formaggio che, come ho visto di persona, è fatto con fatica e dedizione, senza tradire principi centenari, inseguendo un sogno tanto banale quanto complicato: farlo come è sempre stato fatto qui, nelle Valli del Bitto.

CONTINUA…

(Le immagini che accompagnano il post sono mie e sono state scattate in val Gerola)

Lavorazione del formaggio caprino

Leggi anche i post precedenti:
3 Sul fuoco. Diario dalle Valli del Bitto
2 Sapore d’alpeggio. Diario dalle Valli del Bitto
1 Alla rovescia. Diario dalle Valli del Bitto
Diario dalle Valli del Bitto